All'esterno di un campo profughi, da qualche parte nell'inverno dell'Europa balcanica, alcuni volontari forniscono a un'anziana una coperta isotermica per contrastare il freddo.
Dopo uno stacco, in un interno che pare uno studio artistico, una persona con giacca impermeabile bianca, pantaloni arancioni da tuta da lavoro, il volto nascosto da cappuccio, parrucca arancione e maschera bianca, in stile V per Vendetta, lavora a una sua installazione, tra carta, cutter e bombolette di vernice: è l'artista di strada Laika MCMLIV, più nota come Laika, di cui non si conosce l'identità. Il numero romano sta per 1954, anno di nascita del primo cane presumibilmente mandato nello spazio, mentre il suo logo rimanda a quello di Leica, storica casa produttrice di lenti e macchine fotografiche.
Attiva dal 2019, Laika incolla i suoi poster sui muri di Roma. Senza chiedere permesso, come tanti altri artisti più o meno noti di lei, che usano all'incirca gli stessi strumenti per prendere voce, esprimere dal basso una posizione, soprattutto per conto di chi una voce non l'ha: migranti, donne, vittime della guerra, persone che in Italia non hanno cittadinanza.